E va bene, l’input per questa riflessione non è dei più nobili, ma la sensibilità critica può anche richiamarsi a Dylan Dog qualche volta no?
L’immagine è tratta da I killer venuti dal buio, Dylan Dog n.78 (marzo 1993).
Sono nel lungo viaggio di ritorno verso casa in un Intercity notte, in partenza per le mie vacanze estive e decido che per passare nel miglior modo questa passeggiata di 8 ore è sensato iniziare con una sana dose di horror d’annata.
L’immagine in questione solletica il mio quinto senso e mez..., pardon, il mio senso estetico e, da ElisABIETTA quale sono, comincio a contemplare il senso appagante dello splatter. Ma non è il genere in sé che mi incuriosisce, quanto la precisione delle immagini disegnate. Più della fotografia filmica che non riesce mai veramente a raggiungere e fermare quel climax perfetto dell’istante nell’azione complessiva.
L’immagine perfetta. Quanto siamo condizionati da questa ricerca?
Quanto divario c’è tra la concezione armonica delle forme e dei colori nel nostro immaginario e la distorsione non colta delle immagini reali? Quale bellezza perseguiamo? Quella del pennello che fa più bella la natura o quella della fotografia che blocca spietata un istante della natura in divenire? Riusciamo a trovare graziosa la posizione totalmente antinaturale della Venere di Botticelli e ci vergogniamo se una foto ci ritrae con la bocca storta e gli occhi sgranati.
Ci burliamo dell’ingenuità dei primi malcapitati che di fronte al cavallo in corsa di Muybridge (1878) si scandalizzarono dell’istantanea in cui il cavallo, durante il salto, piega tutte e quattro le zampe sotto il ventre. Osceno e falso! Durante tutta la sua esistenza l’uomo aveva visto cavalli correre e saltare, ma mai librarsi in volo in quella posizione assurda! Che idiozia è mai questa? Che falsità racconta questa macchina fotografica?
Ma quanto superiori siamo noi a quella generazione se ad oggi ancora scartiamo via dall’album/togliamo la tag alle foto in cui siamo “venuti male”?
Che cosa cerchiamo nelle immagini? Poesia, intrigo, mistero, bellezza, particolarità, colori, forme, emozioni: una costruzione mentale aprioristica di quello che ci aspettiamo da un’immagine.
Siamo ancora gli stessi ingenui che non hanno accettato la parzialità dell’occhio umano nel captare gli istanti di un movimento complesso.
La perfezione di un istante. Non siamo ancora in grado di comprenderla. A più di 130 anni dalla prima volta.
L’immagine è tratta da I killer venuti dal buio, Dylan Dog n.78 (marzo 1993).
Sono nel lungo viaggio di ritorno verso casa in un Intercity notte, in partenza per le mie vacanze estive e decido che per passare nel miglior modo questa passeggiata di 8 ore è sensato iniziare con una sana dose di horror d’annata.
L’immagine in questione solletica il mio quinto senso e mez..., pardon, il mio senso estetico e, da ElisABIETTA quale sono, comincio a contemplare il senso appagante dello splatter. Ma non è il genere in sé che mi incuriosisce, quanto la precisione delle immagini disegnate. Più della fotografia filmica che non riesce mai veramente a raggiungere e fermare quel climax perfetto dell’istante nell’azione complessiva.
L’immagine perfetta. Quanto siamo condizionati da questa ricerca?
Quanto divario c’è tra la concezione armonica delle forme e dei colori nel nostro immaginario e la distorsione non colta delle immagini reali? Quale bellezza perseguiamo? Quella del pennello che fa più bella la natura o quella della fotografia che blocca spietata un istante della natura in divenire? Riusciamo a trovare graziosa la posizione totalmente antinaturale della Venere di Botticelli e ci vergogniamo se una foto ci ritrae con la bocca storta e gli occhi sgranati.
Ci burliamo dell’ingenuità dei primi malcapitati che di fronte al cavallo in corsa di Muybridge (1878) si scandalizzarono dell’istantanea in cui il cavallo, durante il salto, piega tutte e quattro le zampe sotto il ventre. Osceno e falso! Durante tutta la sua esistenza l’uomo aveva visto cavalli correre e saltare, ma mai librarsi in volo in quella posizione assurda! Che idiozia è mai questa? Che falsità racconta questa macchina fotografica?
Ma quanto superiori siamo noi a quella generazione se ad oggi ancora scartiamo via dall’album/togliamo la tag alle foto in cui siamo “venuti male”?
Che cosa cerchiamo nelle immagini? Poesia, intrigo, mistero, bellezza, particolarità, colori, forme, emozioni: una costruzione mentale aprioristica di quello che ci aspettiamo da un’immagine.
Siamo ancora gli stessi ingenui che non hanno accettato la parzialità dell’occhio umano nel captare gli istanti di un movimento complesso.
La perfezione di un istante. Non siamo ancora in grado di comprenderla. A più di 130 anni dalla prima volta.